I primissimi segnali

Come ce ne siamo accorti: il rapporto con il cibo nei primi mesi di vita

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Ricordo ancora i primi giorni dello svezzamento di Francesco. Non era un mangione, ma riuscivamo a fargli assaggiare una discreta varietà di cibi. Sembrava che tutto andasse tutto sommato bene. Poi, intorno ai dieci mesi, un brutto raffreddore (eravamo nel 2021, chissà se era COVID) ha cambiato tutto. In quei giorni, si è rifugiato nel latte materno, l'unica cosa che sembrava dargli conforto.

Quando si è ripreso, però, i cibi che prima accettava non li voleva più. Non si trattava di capricci, ma di un rifiuto totale, come se ogni sapore e consistenza fosse diventata un nemico. Con fatica, abbiamo cercato di reintrodurre nuovi alimenti, ma abbiamo notato una preferenza sempre più marcata per cibi asciutti e croccanti: pane, biscotti, a volte fettine di pollo. A due anni, le sue scelte erano ancora più definite: snack, pizza bianca, patatine fritte, quelle in busta e quelle del fast food. L'unica proteina che mangiava, il pollo impanato, era scomparsa dal suo menù.

La nostra preoccupazione cresceva giorno dopo giorno. Le frasi rassicuranti della pediatra, "Vedrete che poi mangerà" oppure dell'educatrice del nido "Vedrà gli altri bimbi mangiare e farà lo stesso", non ci bastavano più. Sapevamo che c'era qualcosa di più. Iniziammo a cercare alternative per fargli assumere dei nutrienti. Abbiamo scoperto il "fantastico mondo" degli snack per bambini come le "Puff Plasmon" e le "barrette Hipp" alla frutta, abbiamo aggiunto di nascosto dei liofilizzati di carne e verdure nel latte. Ma capimmo presto che questi espedienti erano solo un palliativo.

La nostra ansia non diminuiva. Sapevamo che queste soluzioni non erano la risposta. Abbiamo iniziato a interpellare vari medici per indagare il problema. Ci siamo rivolti a una nutrizionista di un rinomato ospedale pediatrico, sperando che potesse darci una spiegazione. Poi, abbiamo cercato aiuto in diversi centri psicoterapeutici, ma nessuno sembrava capire fino in fondo la natura della sua avversione per il cibo. Continuavamo a sentirci dire che era una fase, ma il nostro istinto di genitori ci diceva il contrario.

La nostra ricerca continuava, e ogni giorno imparavamo qualcosa di nuovo su come affrontare le sue sfide. Non ci siamo arresi e abbiamo capito che il comportamento di Francesco non era un capriccio, ma il segnale di una condizione che lo metteva in difficoltà. Abbiamo cambiato il nostro approccio e aperto la strada a un percorso di cura più consapevole.