Alla ricerca di risposte

Il lungo viaggio tra medici e specialisti fatto di risposte poco convincenti.

2 min read

La diagnosi che non arrivava: il nostro viaggio alla ricerca di risposte

Dopo mesi di tentativi, rassicurazioni e notti insonni, abbiamo capito che il problema alimentare di nostro figlio andava oltre la semplice "schizzinosità". La pediatra ci ripeteva che Francesco era in salute, la sua crescita era normale e che non c'era da preoccuparsi più di tanto. Ma i suoi pasti erano diventati una battaglia e il nostro istinto ci diceva che non era normale.

Così abbiamo iniziato a consultare altri specialisti. Ci siamo rivolti a una nutrizionista di un rinomato ospedale pediatrico e a un centro psicoterapeutico. I loro consigli erano simili: dovevamo cambiare il nostro atteggiamento, dare meno importanza ai pasti, introdurre gradualmente nuovi cibi. Una delle indicazioni, in particolare, ci ha lasciati molto perplessi: suggerirono di fargli provare la fame, convinti che si fosse abituato a mangiare solo determinate cose e che non si sforzasse. Era evidente che non avevano compreso quanto fosse profondo e incontrollabile il suo rifiuto per il cibo.

Un'indagine psicologica e una diagnosi smentita

Non soddisfatti, ci siamo rivolti a un ospedale pubblico. Lì, una psicoterapeuta ci ha detto che raramente un comportamento alimentare così restrittivo è legato unicamente al cibo. Hanno sottoposto Francesco, che all'epoca aveva poco più di due anni, a una serie di test psico-comportamentali. Il risultato fu disturbo misto misto dello sviluppo. Il parere non ci aveva sorpreso del tutto, d'altronde alcune delle sue caratteristiche sembravano combaciare. Francesco parlava meno fluentemente dei suoi coetanei, era molto timido, faceva giochi ripetitivi e mostrava una forte ripulsione per consistenze "molli" come il pongo o la sabbia al mare.

Dopo qualche mese abbiamo ripetuto i test. Con il tempo, alcuni comportamenti si erano attenuati, Francesco è diventato molto più estroverso e spigliato nel parlare, ha una forte immaginazione e senso dell'umorismo e coerentemente con i suoi progressi la nuova diagnosi non confermò più il disturbo. Tuttavia, il problema con il cibo non accennava a migliorare.
Ho appreso che spesso la selettività alimentare è delle volte collegata all'autismo nel senso che le due cose possono coesistere nella stessa persona, in altri casi l'ARFID, a causa di una scarsa conoscenza della materia, può esser scambiato per autismo.

Verso un nuovo percorso

Continuando le nostre ricerche, abbiamo trovato una nuova psicoterapeuta. Lei, dopo alcuni mesi di lavoro con Francesco, ci ha parlato per la prima volta di ARFID, il Disturbo Evitante/Restrittivo dell'Assunzione di Cibo. Era la prima volta che sentivamo questo termine. Finalmente, avevamo una parola per descrivere la sua sofferenza, sebbene siamo consapevoli che sia un tema poco conosciuto e percorsi terapeutici certi non esistano. Nella nostra città, Roma, infatti non ci sono centri specializzati per il trattamento specifico dell'ARFID, quindi per il momento continuiamo con un percorso di psicoterapia mirata. La terapeuta sta aiutando Francesco a fare un percorso di desensibilizzazione per provare ad accettare nuovi alimenti.